A chi non è mai capito di trovarsi improvvisamente da qualche parte senza riuscire a ricordarsi bene come si è arrivati in quel luogo o ritrovarsi in una stanza di casa senza poter ricordare perché eravamo andati proprio in quel punto della casa?
Questo effetto è da anni molto noto in psicologia e viene spesso chiamato “vagabondare della mente” o “sogno nello stato di veglia”.
Tuttavia, fino ad anni recenti abbiamo avuto a disposizione pochissimi dati sul fatto se questo vagabondare della mente fosse qualcosa di relativamente neutro e innocuo sul nostro benessere oppure no.
Nonostante da secoli molti maestri spirituali abbiamo parlato dell’importanza di essere pienamente consapevoli di quanto sta avvenendo nel momento presente e specifici sentieri spirituali come la meditazione Zen o percorsi psicologici come i moderni interventi basati sulla mindfulness ci ricordino di continuo l’importanza del vivere pienamente l’esperienza del qui ed ora, infatti, pochissimi studi scientifici si erano specificamente focalizzati su questo aspetto.
Recentemente però alcuni ricercatori hanno pubblicato sulla prestigiosa rivista Science uno studio condotto su un campione di 2250 adulti. Ai partecipanti dello studio è stato chiesto di rispondere a una app per smartphone che poteva inviare un segnale in momenti casuali della giornata. Alla ricezione del segnale, i partecipanti dovevano rispondere a queste tre domande: cosa stavano facendo, se stavano vagando mentalmente o se erano pienamente presenti in quello che stavano facendo e quanto fossero felici in quel momento. I risultati dello studio hanno mostrato tre importanti ritrovamenti. Innanzitutto, si è osservato che in media le persone passavano almeno metà del tempo in uno stato interno di mente vagante e non presente a ciò che stavano facendo. In secondo luogo, si è osservato che, indipendente dal fatto che la mente vagasse su pensieri piacevoli o spiacevoli, avere la mente che vagava era mediamente associato a una maggiore infelicità rispetto a quando si era presenti, anche se in misura minore quando la mente era distratta da pensieri piacevoli e in misura maggiore quando la mente era distratta da pensieri spiacevoli. Infine, i ricercatori hanno osservato che il migliore predittore di felicità non era tanto quello che le persone stavano facendo ma piuttosto ciò a cui stavano pensando e il fatto se stessero vagabondando con la mente oppure no. In conclusione, gli autori hanno mostrato come effettivamente la mente umana spesso divaghi e come questo vagabondare mentale abbia un grande costo in termini emotivi, suggerendo indirettamente come coltivare la mindfulness (presenza mentale) possa essere di grande aiuto non solo per essere più efficienti ma soprattutto per essere più felici.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21071660
Killingsworth MA, Gilbert DT.
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